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La soluzione te la dico io

A CASA DI EMPATIA. Quarto Episodio.

Emma, 9 anni, non vuole andare a scuola

UNA CASA SENZA EMPATIA

Emma: Non voglio andare a scuola domani.

Mamma: Davvero? Strano, di solito ti piace andare a scuola. Non è che magari c’è qualcosa che ti preoccupa?

Emma: Sì, un po’

Mamma: E cosa ti preoccupa? 

Emma: Non lo so.

Mamma: Insomma qualcosa ti preoccupa ma non sei sicura di cosa sia

Emma: Già

Mamma: infatti mi sembri un po’ tesa

Emma: (in lacrime) Sì. È per colpa di Margherita e Sofia.

Mamma: è successo qualcosa a scuola con Margherita e Sofia?

Emma: Sì, all’intervallo Marghe e Sofia hanno fatto finta di non vedermi.

Mamma: Ma lasciale perdere quelle due! Non ti preoccupare. Basta che domani all’intervallo ti guardi intorno e trovi qualcun altro con cui giocare. Oppure magari domani saranno più simpatiche

UNA CASA EMPATICA

Emma: Non voglio andare a scuola domani.

Mamma: Davvero? Strano, di solito ti piace andare a scuola. Non è che magari c’è qualcosa che ti preoccupa?

Emma: Sì, un po’

Mamma: E cosa ti preoccupa? 

Emma: Non lo so.

Mamma: Insomma qualcosa ti preoccupa ma non sei sicura di cosa sia

Emma: Già

Mamma: infatti mi sembri un po’ tesa

Emma: (in lacrime) Sì. È per colpa di Margherita e Sofia.

Mamma: è successo qualcosa a scuola con Margherita e Sofia?

Emma: Sì, all’intervallo Marghe e Sofia hanno fatto finta di non vedermi.

Mamma: E questo ti ha fatto stare male, vero?

Emma: Sì, tanto

Mamma: Mi sembra di capire che domani non vuoi andare a scuola perché hai paura che Margherita e Sofia all’intervallo facciano ancora finta di non vederti

Emma: Sì. Tutte le volte che mi avvicinavo, loro se ne andavano e si mettevano a fare qualcos’altro

Mamma: Caspita! Mi sarei sentita malissimo se le mie amiche si fossero comportate così con me

Emma: Anche io. Mi veniva proprio da piangere

Mamma: Oh, tesoro! (l’abbraccia) Mi dispiace proprio che ti sia successa questa cosa. Vedo che ti senti proprio triste e arrabbiata per come ti hanno trattato le tue amiche

Emma: Sì. Non so che cosa fare domani. Non so se mi va di andare a scuola

Mamma: Perché non vuoi che le tue amiche feriscano di nuovo i tuoi sentimenti?

Emma: Sì, e poi io gioco sempre con loro; tutti gli altri hanno i loro amici

(la conversazione continua e Emma fornisce alla mamma ulteriori dettagli sul suo rapporto con quelle amiche)

Emma: Non so proprio cosa fare

Mamma: Vuoi che ti dia una mano e ti dia qualche idea di quello che farei io?

Emma: Sì

Mamma: Forse potresti parlare a Margherita e Sofia e spiegare loro come ti senti per il fatto che ti ignorano

Emma: No, non credo. Sarebbe imbarazzante

Mamma: Già, ti capisco. Ci vorrebbe troppo coraggio. Hmmm…non so…pensiamoci un attimo (Passa un po’ di tempo mentre la mamma strofina le spalle della figlia). Forse potresti aspettare a vedere cosa succede. Sai com’è fatta Margherita: un giorno magari è insopportabile e il giorno dopo torna a essere quella di sempre. Forse domani potrebbe essere di nuovo la tua migliore amica

Emma: Ma se poi non lo è?

Mamma: Non sono sicura…Tu hai qualche idea?

Emma: No.

Mamma: Non c’è nessun altro con cui ti piacerebbe giocare?

Emma: No.

Mamma: Cos’altro fate in cortile? 

Emma: Si gioca soltanto a pallone

Mamma: E a te non va di giocare a pallone?

Emma: Non ci ho mai giocato

Mamma: ah

Emma: Solo Giulia ci gioca

Mamma: Vuoi dire Giulia, la tua amica di piscina?

Emma: Sì

Mamma: Ti ho visto con Giulia in piscina e non mi sembravi a disagio con lei. Forse potresti chiederle di insegnarti a giocare

Emma: Forse

Mamma: Bene. Allora hai un’altra idea

Emma: Sì, potrebbe funzionare. Ma se non funziona?

Mamma: Mi sembri ancora preoccupata. Come se avessi paura che non ci sarà proprio nessuno per giocare con te e non saprai che cosa fare da sola

Emma: Sì

Mamma: Non ci sono dei giochi che ti diverti a fare da sola?

Emma: Tipo saltare la corda?

Mamma: Sì, anche

Emma: Potrei portarmi la corda, proprio in caso che…

Mamma: Bene. Così se non giocherai con Margherita e Sofia e se giocare a pallone non ti dovesse piacere, potrai sempre saltare la corda

Emma: Sì, posso fare così

Mamma: Perché non vai a prendere subito la corda e non la metti nello zaino, così non te la scordi domani?

Emma: D’accordo. E poi posso chiamare Giulia per chiedere se può venire da noi domani dopo la scuola?

Mamma: Questa sì che è un’ottima idea!

PENSIAMOCI SU…

La mamma della casa senza empatia non resiste alla tentazione di spiegare subito alla figlia che cosa deve fare. Dicendole di non preoccuparsi e facendole capire che c’è una soluzione molto semplice al problema, è come se le dicesse che considera i suoi problemi futili e poco rilevanti.

La mamma empatica, invece, resiste alla tentazione di dare subito facili soluzioni perché vuole comunicare alla figlia comprensione, ma anche permetterle di trovare da sola una risposta al problema. Così facendo Emma trova nella sua mamma una confidente e si sente confortata. Dopo molti minuti di ascolto e di riflessione su quanto la figlia sta raccontando, la mamma comincia a esplorare la possibilità di gestire la situazione. E, dato che Emma capisce che la mamma comprende il suo dilemma, è ricettiva ai suoi consigli. L’impegno principale di questa mamma è riconoscere i sentimenti della figlia. Attraverso un approccio empatico, con un po’ di pazienza e lasciando che fosse Emma stessa a giungere alle sue conclusioni, sua mamma è riuscita a guidarla verso una serie di soluzioni attuabili. 

Quando sentite che vostro figlio è in un momento di tensione emotiva, tenete conto del fatto che condividere con lui semplici osservazioni di solito è meglio che sottoporlo a molte domande per fare andare avanti la conversazione. Potreste chiedere a vostro figlio: “Perché ti senti triste?” e scoprire che lui a volte non ha una risposta da proporre. È un bambino, e non ha il beneficio (o lo svantaggio) di anni e anni di introspezione, perciò è probabile che non abbia una risposta sulla causa delle sue emozioni. Forse si sente triste a causa dei litigi dei suoi genitori, o perché è troppo stanco o è preoccupato per il saggio di pianoforte. Ma forse non è in grado di articolare nessuna di queste spiegazioni. E anche quando ha in mente una risposta, potrebbe temere che non sia abbastanza buona per giustificare il suo sentimento. In questo caso la domanda non farà altro che metterlo a tacere. Invece è meglio riflettere su quello che notate; potreste dire: “Sembri un po’ stanco oggi”, oppure: “Ho notato che hai corrugato la fronte mentre parlavi del saggio di pianoforte” e aspettare una replica.

Inoltre cercate di evitare domande di cui già conoscete le risposte. Interrogazioni del tipo: “A che ora sei tornato stanotte?”, oppure “Chi ha rotto la lampada?” introducono un’atmosfera di sfiducia e di tensione, come se non aspettaste altro che vostro figlio vi dica una bugia. È meglio che conversazioni del genere vengano introdotte da osservazioni dirette: “Ho visto che hai rotto la lampada e non mi ha fatto piacere”, oppure: “Sei tornato dopo l’una stanotte, e non penso che sia una cosa accettabile”. 

Infine, la mamma di Emma ha utilizzato moltissime definizioni per aiutare la figlia a “classificare” il suo problema, per esempio “tesa, preoccupata, triste, ferita, spaventata”. Fornire ai figli le parole può aiutarli a trasformare una sensazione amorfa, raccapricciante e sgradevole in qualcosa di definibile, e quindi con confini ben precisi. Studi specifici indicano che l’atto di dare un nome alle emozioni ha di per sé un effetto rasserenante sul sistema nervoso, e aiuta i ragazzi a recuperare più in fretta dalle situazioni di turbamento. Aiutare i figli a trovare le parole per descrivere quel che stanno provando non significa suggerire loro quel che dovrebbero sentire; significa semplicemente aiutarli a sviluppare un vocabolario con cui esprimere le loro emozioni. Maggiore sarà la precisione con cui i ragazzi riusciranno ad esprimere i loro sentimenti, meglio sarà: se vostro figlio è arrabbiato, ad esempio, potrebbe sentirsi frustrato, infuriato, confuso, tradito o geloso; se è triste potrebbe sentirsi ferito, abbandonato, geloso, svuotato. Tenendo conto che spesso le persone provano emozioni miste e rassicurandolo che è normale a volte provare un miscuglio di sentimenti diversi allo stesso tempo.

Una volta che ha passato del tempo ad ascoltare sua figlia e ad aiutarla a dare un nome e a comprendere le proprie emozioni, la mamma si trova naturalmente portata a intraprendere un processo di “risoluzione del problema”. Questo processo, secondo John Gottman, può avere cinque fasi:

1. Porre i limiti

2. Identificare gli obiettivi

3. Pensare alle possibili soluzioni

4. Valutare le soluzioni proposte alla luce dei valori familiari

5. Aiutare il bambino o il ragazzo a scegliere la soluzione.

Questo processo potrebbe sembrare macchinoso, ma con la pratica diventa automatico e di solito veloce. Con l’esperienza sarà proprio il bambino a prendere l’iniziativa e a risolvere problemi complessi per conto suo.

(brano liberamente tratto da John Gottman “Intelligenza emotiva per un figlio”)

immagine: Sandra Desmazières, June e Lea.

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