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Educazione emozionale ed apprendimento

Questo articolo vorrebbe illustrare come l’educazione emozionale, tramite la PROMOZIONE DEL BENESSERE in ambito scolastico, possa favorire l’apprendimento; si rivolge soprattutto ad insegnanti ed educatori, ma anche ai genitori e a qualunque persona si trovi ad affiancare qualcuno nel processo di apprendimento.

Vedremo perché la didattica, per essere efficace, deve includere la dimensione emozionale nei suoi processi, ponendo massima attenzione allo spazio interiore e alla formazione di essere umani completi in un clima di libera espressione.

La motivazione ad apprendere

Uno dei principali fattori che influenzano la qualità e la velocità dell’apprendimento è la motivazione, vale a dire la spinta emotiva a conoscere e l’interesse per l’oggetto dell’apprendimento che fanno nascere il desiderio di impadronirsene.

Sui fattori e i meccanismi che favoriscono la motivazione sono state elaborate diverse teorie psicologiche. 

I comportamentisti ritengono che prima di fare esperienze siamo lavagne vuote (Skinner), e suggeriscono quindi agli insegnanti di favorire l’apprendimento attraverso la gratificazione, la lode e ogni altro tipo di rinforzo positivo, suscitando una motivazione estrinseca, cioè spinta da un’azione esterna e condizionante, non espressione di bisogni interiori. 

I cognitivisti (Bruner) invece sostengono che la mente lavora come un calcolatore che processa informazioni provenienti dall’esterno e ne produce altre come risultato dell’elaborazione. L’orientarsi degli individui in una direzione o in un’altra dipende dalla percezione di un disequilibrio che determina un disadattamento temporaneo dell’individuo e dal bisogno di superarlo ed è quindi espressione di una motivazione intrinseca, cioè di un bisogno interiore che i contenuti disciplinari soddisfano.

Come Bruner, anche gli psicologi umanisti mettono in evidenza la presenza, negli individui, di un desiderio innato di apprendere e capire; la riflessione principale in questo ambito è quella di Abraham Maslow, secondo il quale l’individuo possiede una motivazione alla crescita che passa per una gerarchia di bisogni, inizialmente fisiologici, che si identificano poi nei bisogni di sicurezza e di appartenenza, quindi di amore e di stima, fino a coincidere con il bisogno di autorealizzazione, di sapere, di giustizia e di bellezza che è proprio della maturità e del raggiungimento della piena umanità della persona.

Ne segue quindi che la motivazione non è soltanto una caratteristica personale – acquisita prima di entrare a scuola o già inscritta nel codice genetico – ma, come tutti i fenomeni relazionali o comunicativi, è sia causa che effetto del successo scolastico e per questo va sostenuta dall’ambiente. 

Il Clima educativo

La costruzione di un clima educativo positivo favorisce il benessere e quindi la produzione di serotonina e ossitocina, neurotrasmettitori che avvantaggiano l’apprendimento.

Trasformare le emozioni in risorsa consente all’insegnante una serie di vantaggi preziosi in termini di stimolo per l’apprendimento e per l’insegnamento favorendo la sintonia nella relazione formatore-allievo, una partecipazione attiva e collaborativa e un clima di gruppo favorevole all’apprendimento e allo sviluppo di relazioni.

Il gruppo-classe si configura come un fondamentale spazio di crescita in cui l’alunno-studente sperimenta le proprie competenze e sviluppa la propria identità, in un continuo scambio sia con i pari sia con gli insegnanti, nel quale i processi emotivi e relazionali assumono un ruolo centrale. Il gruppo-classe diventa un importante strumento per l’apprendimento poiché assume la funzione di sostegno emotivo, di contenimento dell’ansia e di aiuto per tollerare le frustrazioni legate all’apprendimento e alla valutazione, stimolare la curiosità rispetto agli argomenti trattati e diffondere energie positive, creando un clima disteso e favorevole alla formazione. Esso, indubbiamente, attiva un circuito emozionale circolare in cui le forze diventano convergenti.

Cortocircuiti emozionali e impotenza appresa

Le Neuroscienze hanno dimostrato che quando apprendiamo l’amigdala registra anche l’emozione e la memoria emotiva si collega alla conoscenza o alla competenza acquisita. Dunque l’emozione si lega come parte integrante nel processo di apprendimento (che Daniela Lucangeli definisce il flusso dell’intelligere, in continuo divenire nella relazione con l’altro ): da FUORI a DENTRO ( ricezione delle informazioni), da DENTRO a DENTRO (rielaborazione personale), da DENTRO a FUORI (condivisione).

Le emozioni positive che derivano dall’esercizio delle proprie abilità rafforzano la motivazione intrinseca , che si manifesta nei nuovi tentativi di padronanza di abilità. Un’atmosfera serena e incoraggiante favorisce un apprendimento positivo. La componente che predispone meglio la mente dei bambini ad apprendere è la fiducia da parte degli adulti. 

Lo stress causa una produzione eccessiva cortisolo ed è causa di cortocircuito emozionale, di blocco, di chiusura. Se esso si verifica, motivazione e attenzione lasciano il posto alla paura e senso di colpa; la memoria del sentimento di incapacità e inadeguatezza finirà nella memoria autobiografica, intaccando significativamente l’autostima e l’autoefficacia dell’alunno.

Il bambino imparerà che non è capace ad eseguire quel dato compito e il ripetersi di questo meccanismo per svariati anni scolastici porterà ad una stabilizzazione del circuito che è ciò che in psicologia si chiama fenomeno dell’impotenza appresa (Seligman) che blocca il processo biologico dell’apprendimento. 

Il principio di sfida ottimale

È importante che i bambini e i ragazzi possano vivere delle frustrazioni che sono una grossa opportunità per nutrire la loro autostima, purché non siano traumatiche e perenni. Come sosteneva Vygotskij, quindi, chi insegna dovrebbe proporre al bambino problemi di livello un po’ superiore alle sue attuali competenze, tuttavia abbastanza semplici da risultargli comprensibili, all’interno di quell’area in cui il bambino può estendere le sue competenze e risolvere problemi grazie all’aiuto degli altri (la zona di sviluppo prossimale). Così egli apprende senza sperimentare frustrazione del fallimento che causerebbe il cortocircuito dell’apprendimento. La didattica dovrebbe, quindi, valutare il livello di capacità presente in una classe e fornire ai singoli allievi prove e ambienti di apprendimento adeguati, cioè non così facili da non impegnare affatto, né così difficili da scoraggiare l’impegno e demotivare. Ne Il diritto di sbagliare (1978, 1982), Susan Harter ha definito questo criterio “principio di sfida ottimale”, intendendo con esso obiettivi scolastici che si collochino a debita distanza tra l’assenza di sfida (noia) e il suo eccesso (ansia) (flow cognitivo). 

L’alleanza

Abbiamo visto precedentemente che se l’errore viene giudicato come qualcosa che sarebbe meglio evitare, da cancellare il prima possibile, il bambino imparerà che sbagliare è male e quindi avrà molta paura di compiere errori. Invece se l’errore viene visto da tutti come una preziosa fonte di informazione circa dove si è bloccato il percorso di apprendimento del bambino, allora diventerà qualcosa di valore, da cui imparare per fare meglio (Lucangeli). Per sapersi motivare è necessario intendere l’errore come maestro e le difficoltà, i problemi, le crisi, non come un’afflizione o come freno, ma come un’opportunità per fortificare se stesso sfruttando l’errore come una possibilità di crescita.

Tutta la complessità di una relazione nella quale, invece, ciò che importa è prevalentemente il risultato si oggettiva nella valutazione, con particolare sovraccarico se si tratta di un voto invece di un giudizio – che può essere più articolato. Il voto è un giudizio che riguarda la prestazione, ma che gli allievi tendono a inglobare nella percezione della propria adeguatezza o capacità personali. Per questa ragione gli studenti possono avere difficoltà a valutare adeguatamente i propri risultati perché tendono a leggerli attraverso la lente della propria disposizione psicologica: l’allievo con locus di attribuzione interno sarà incline a dar ragione all’insegnante che gli restituisce un compito insufficiente, trovando conferma in quel giudizio della sfiducia che lui stesso nutre nei propri confronti. Viceversa, l’allievo con locus di attribuzione esterno tenderà ad attribuire il proprio insuccesso all’ostilità dell’insegnante, cercando di delegittimare il suo giudizio (Seligman). 

Ecco perché è importante che l’insegnante sostenga l’autovalutazione degli allievi e un’osservazione qualitativa del percorso, facendo leva sui feedback positivi che alimentano la motivazione, grazie alla produzione di dopamina. 

L’apprendimento caldo e la didattica aperta

Costruire esperienze di flusso per i nostri studenti, significa quindi facilitare la loro realizzazione e costruire esperienze di benessere. Come sostiene la professoressa Lucangeli l’insegnante é quindi un catalizzatore chimico, perché è lui che accende la funzione cognitiva del bambino. L’aspetto cruciale è allora mettere a punto delle strategie di accensione o potenziamento che ci permettano di lavorare sulla zona di apprendimento prossimale. 

L’apprendimento caldo sostenuto da emozioni positive (l’allegria, il buon umore e la magia creata da un sorriso o da un abbraccio), diventa un vero e proprio approccio educativo che permette di evitare il blocco e il cortocircuito emozionale. Il sorriso comunicativo e di incoraggiamento sostituisce il rimprovero e stimola la motivazione e l’attenzione. Lo stupore e la meraviglia stimolano l’attenzione, il senso di autoefficacia favorisce la motivazione.

Creare un sistema scolastico accogliente che infonda fiducia si può, ma serve una didattica aperta che sappia personalizzare gli insegnamenti, partendo dagli interessi dei ragazze e utilizzando diversi linguaggi. Ciò che differenzia la didattica aperta da quella frontale è il ruolo attivo e partecipativo dell’alunno che non è più solo fruitore di un’offerta formativa, ma diventa autore. Prende decisioni in autonomia e realizza, insieme agli insegnanti e ai compagni, quello che è il proprio percorso di apprendimento.

Jessica Norris

Bibliografia e link video

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