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Nel bagno ci sono i mostri

A CASA DI EMPATIA. Terzo Episodio.

Daniele, 7 anni, dice alla mamma Paola che non vuole andare al bagno da solo perché ha paura delle mummie.

UNA CASA SENZA EMPATIA

Paola, mentre è indaffarata, dice a Daniele con tono infastidito e senza guardarlo: “Dai Daniele! Che sciocchezze! Le mummie non esistono, non c’è assolutamente nulla di cui aver paura. Basta accendere la luce e tutto passa”. 

Daniele non dice niente, probabilmente pensa che lui ha paura lo stesso, che la mamma non sa quanto sono orribili le mummie e che però forse lei ha ragione e lui è solo un bambinetto pauroso. Non riesce a capire perché ha tanto terrore per una cosa che la mamma dice sia così innocua.

UNA CASA EMPATICA

Paola sospende le sue faccende, si gira verso Daniele, lo guarda negli occhi e gli parla con tono pacifico.

Paola: Hai paura delle mummie?

Daniele: Sì

Paola: Sono molto brutte?

Daniele: Sì, entrano dalle finestre spaccando i vetri e ti tagliano tutti i capelli

Paola: Mamma mia! Sono davvero orribili e spaventose! (lo abbraccia e lo prende sulle ginocchia)

Daniele: Sì, infatti io con i miei amici al parco stiamo sempre all’erta. Una volta abbiamo visto un signore brutto vicino a un cespuglio e abbiamo iniziato a correre, io ho corso come un fulmine più veloce di tutti

Paola: Deve essere stato davvero spaventoso! Sai, anche a me è capitato. Quando avevo la tua età avevo tantissima paura dei cani, e un giorno mi sono ritrovata su una stradina da sola con un cane che mi veniva incontro. Io ho avuto così paura che sono corsa a casa più forte del vento, quasi mi si staccavano le gambe da quanto correvo veloce!

Daniele: (gli viene da ridere) Infatti! Quando hai paura corri così veloce che le gambe vanno come un’elica che gira velocissima!

Paola: Quella volta, poi, sono andata da mia mamma e lei mi ha visto che ero spaventata, mi ha chiesto come stavo e poi ci siamo affacciate insieme dalla porta a vedere che quello era solo il cane tranquillo che conoscevo. 

Daniele: (rimane un poco in silenzio) Proviamo ad accendere la luce del corridoio del bagno?

Paola: Puoi accendere la luce. E che altro puoi fare? 

Daniele: mmm…potrei cantare forte per farmi coraggio.

Paola: Ok, io sto qui sulla porta del soggiorno, ti guardo e se tu mi chiami puoi vedermi e sentirmi.

Daniele va in bagno cantando per farsi coraggio, accende la luce e si gira verso la mamma e le chiede sorridendo: “Quanto hai corso veloce quella volta del cane?”

PENSIAMOCI SU…

Per i bambini il buio può rappresentare il grande sconosciuto, il luogo dove giacciono tutte le loro paure e i loro mostri minacciosi. Per questo è più che ragionevole che cerchino il conforto della luce e la sicurezza che gli adulti sono vicini e a portata di mano in caso di bisogno. Ma la paura del buio, come anche la paura dei mostri, agli occhi degli adulti appaiono spesso incomprensibili e irrazionali, non hanno ragione d’essere e spesso per loro sono davvero inconcepibili e addirittura fastidiose.

In alcuni casi il genitore rimane interdetto di fronte a queste manifestazioni di paura, a volte rimprovera il bambino in maniera stizzita perché gli appaiono indubbiamente sbagliate, irrilevanti e irragionevoli. Di solito il genitore, con calma o con stizza, cerca di far capire al bambino l’inconsistenza di ciò che gli fa paura spiegandogli in modo razionalizzante che nel buio non c’è nulla di cui avere timore, oppure insistendo a fargli affrontare il buio per “farlo abituare” e rendersi conto che non c’è nessun pericolo reale. 

Anche quando il bambino esprime la paura per qualcosa di apparentemente inesistente, non serve a nulla razionalizzare, perché il bisogno del bambino in quel momento è essere accettato e accompagnato a fare i conti con ciò che lo terrorizza, reale o immaginario che sia. Qui si gioca un passaggio spesso molto difficile per noi adulti: riconoscere ed empatizzare con il “mondo fantastico” dei bambini. Il cosiddetto “Pensiero magico” è il modo proprio e specifico dell’infanzia necessario per elaborare e spiegare le esperienze e gli stati emotivi. Il mondo fatto di mostri che escono dall’armadio o di baci che magicamente fanno passare il dolore per una ferita, è una forma di pensiero e di espressione che alla razionalità realistica adulta appare insensato. Invece, piuttosto che “irragionevole”, è fuori dalla razionalità adulta, ed è un diverso modo di conoscere ed elaborare l’esperienza.

“Il regno dell’irrazionale è un universo che risponde a criteri diversi da quelli razionali ma non per questo privi di valore. Come affermava il filosofo Blaise Pascal “il cuore ha le sue ragioni che la ragione non conosce”. Quasi sempre la razionalità è apprezzata e giudicata positivamente, mentre l’irrazionalità è considerata un difetto o una colpa (…) non appena si esce dalla prima infanzia le richieste irrazionali vengono considerate capricci” (da Enciclopedia dei ragazzi Treccani 2006, “Razionale e irrazionale”).

Il “pensiero magico” e apparentemente irrazionale, invece, è il modo imprescindibile proprio dei bambini per conoscere, elaborare e gestire il mondo e, soprattutto, le emozioni proprie e altrui. È uno degli spartiacque più profondi tra l’universo infantile e quello adulto e per essere colmato richiede una grandissima dose di empatia da parte dell’adulto, la capacità di sintonizzarsi sulle stesse emozioni del bambino, piuttosto che l’ansia di riportarlo ad un modo di pensare razionalizzante e realistico che non gli appartiene ancora del tutto e che, comunque, non va al nocciolo della questione: fare i conti con l’emozione della paura. 

Quando un bambino ha paura, dirgli che non c’è nulla di cui avere timore, che non c’è un motivo reale o abbastanza grave per spaventarsi, che il buio non è una minaccia o che i mostri non esistono, non lo tranquillizza affatto né tantomeno lo convince sul piano razionale. Negando che la causa della sua paura sia reale oppure cercando di dimostrare come sia un timore esagerato, l’adulto non risolve la paura del bambino né riesce a rasserenarlo, piuttosto raggiunge l’unico risultato di sminuire l’emozione del bambino facendolo sentire inadeguato. 

Molti genitori, animati dalle migliori intenzioni, liquidano le paure e le tensioni dei bambini come se fossero del tutto irrilevanti: “Non c’è niente di cui aver paura” diciamo a un cinquenne che si sveglia urlando a causa di un incubo. “Evidentemente tu non hai visto quello che ho visto io”, potrebbe essere la risposta più appropriata del bambino impaurito. Invece in queste situazioni il bambino non risponde così, ma tende ad accettare la valutazione dell’adulto e inizia a dubitare del suo stesso giudizio. Infatti i sentimenti dei figli non spariscono per il semplice fatto che l’adulto spiega con l’intenzione di tranquillizzarlo che non c’è alcuna giustificazione plausibile (dal punto di vista dell’adulto) per quella particolare emozione. In questo caso, come faceva notare lo psicologo Haim Ginott, è come se con i propri atteggiamenti e parole il genitore indirettamente ordinasse al bambino “Non sentirti così”. Allora quello che accade è che così facendo gli adulti confutano costantemente i sentimenti del bambino e l’unico effetto che ottengono è che lui perde la fiducia in se stesso e nella propria capacità di comprendere ciò che prova. 

A volte alcuni genitori cercano di ignorare o sminuire i sentimenti negativi dei bambini anche con la speranza che così facendo tali sentimenti se ne andranno da soli; in realtà le emozioni non funzionano quasi mai in questo modo. Un atteggiamento del genere trasmette il messaggio che le emozioni spiacevoli vanno negate, messe sotto il tappeto per non farsi sovrastare nè condizionare da esse. Sbarazzatevi dell’idea che un bambino possa diventare più forte attraverso la vostra negazione della sua paura!  Al contrario, le emozioni si dissolvono quando i bambini possono parlarne, dar loro un nome, e sentirsi compresi, anche quando sono proiezioni del mondo magico infantile senza riscontro nella realtà razionale adulta. 

Prendere sul serio le emozioni dei bambini richiede empatia, notevoli capacità di ascolto e il desiderio di vedere le cose dal loro punto di vista. In quanto genitori empatici, quando vediamo i nostri figli impauriti possiamo immaginarci al loro posto e sentire la loro paura. Se riusciamo a comunicare questo tipo di comprensione emotiva ai nostri figli, diamo credito alla loro esperienza e li aiutiamo a imparare a rilassarsi. Lo stesso Ginott sosteneva che le dichiarazioni di comprensione dovrebbero essere il primo passo comunicativo dei genitori e, quindi, dovrebbero sempre precedere i consigli o gli ammonimenti. 

Come può essere tanto forte questa empatia? John Gottman sostiene che questo avviene perché l’empatia permette ai bambini e ai ragazzi di vedere i loro genitori come alleati. Quando sentite che il vostro cuore si unisce a quello di vostro figlio, quando vi accorgete di provare quello che prova lui, ecco che state provando l’empatia. Se riuscite a mantenervi con vostro figlio all’interno di questa emozione, anche se a volte può essere difficile e scomodo, potrete passare alla fase successiva, che consiste nel riconoscere in questo momento emozionale un’occasione per costruire la fiducia e offrire una guida. Dunque, il primo passo è entrare in empatia e, grazie a questa, poter costruire una relazione di fiducia con i nostri figli e, successivamente, offrire loro una guida nel mondo delle emozioni trovando insieme delle strategie e delle soluzioni per affrontare anche le situazioni sgradevoli. Le emozioni spiacevoli diventano un’occasione preziosa per rinforzare il rapporto affettivo ed educativo. 

Per molti genitori riconoscere nelle emozioni negative dei figli un’occasione per stabilire un legame, per insegnare qualcosa, è un vero sollievo, una liberazione, una gioia. Le paure dei bambini non sono più la prova della nostra incompetenza come genitori, ma un’occasione per aiutare i figli a riconoscere e dare un nome alla paura parlando dei loro timori con empatia e ideando soluzioni per affrontare i diversi pericoli, reali o immaginari che siano.

(brano liberamente tratto da John Gottman “Intelligenza emotiva per un figlio”)

(illustrazione di Maurice Sendak, albo “Nel paese dei mostri selvaggi”)

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