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Intervista a Francisco Mora

L'Emozione è l'energia che muove il mondo.

Pubblicata l’8 marzo 2015 da Cambiemos el MUNDO, cambiemos la Educación in Entrevistas. 

Oggi abbiamo il privilegio di intervistare Francisco Mora, professore di Fisiologia Umana alla Facoltà di Medicina dell’Università Complutense di Madrid, dottore in Medicina all’Università di Granada e dottore in Neuroscienza all’Università di Oxford, che attualmente porta avanti il suo lavoro tra l’Università dell’Iowa e la Spagna.

Francisco Mora è uno degli esperti mondiali più interessanti nell’ambito delle neuroscienze, con particolare riferimento al campo della neuroeducazione. Autore prolifico di opere tra cui: “Neurocultura” (Neurocultura), Alianza Editorial, 2007, “Cómo funciona el cerebro” (Come funziona il cervello), Alianza Editorial, 2009, “El bosque de los pensamientos” (Il bosco dei pensieri), Alianza Editorial, 2009, “El dios de cada uno: por qué la neurociencia niega la existencia de un dios universal” (Il dio di ciascuno: perché le neuroscienze negano l’esistenza di un dio universale), Alianza Editorial, 2011; o “Neuroeducación. Sólo se puede aprender aquello que se ama” (Neuroeducazione. Si può apprendere solo quel che si ama), Alianza Editorial, 2013.

Come riassumerebbe in tre punti chiave l’educazione del XXI secolo?

L’educazione nel nostro secolo sta iniziando a percorrere la direzione tracciata dalla Scienza, in particolare dagli studi sul cervello, allontanandosi sempre di più dalle opinioni e dalle ideologie personali. Simbolo di questo cambiamento potrebbe essere una chiave, quella con cui, utilizzando il metodo scientifico, si apriranno i codici che attualmente bloccano il funzionamento del cervello umano. Tutto questo dovrebbe condurci a un nuovo concetto di educazione e un nuovo mondo di conoscenze e strumenti con cui poter migliorare l’insegnamento dei  professori e l’apprendimento degli studenti. Ma soprattutto ad una nuova educazione che cambi l’essere umano. E più avanti, nonostante possa apparire idealista, mi spingo a prevedere che questa nuova educazione porterà ad abbandonare gradualmente il pensiero magico e a potenziare il pensiero analitico e critico e certamente quello creativo. Tutto questo accadrà in maniera lenta ma inesorabile.

Quali sono i tre contributi essenziali delle Neuroscienze che ogni insegnante dovrebbe conoscere per il lavoro che svolge in classe? Potrebbe farci qualche esempio?

Il contributo fondamentale delle Neuroscienze è quello di mostrare a tutti gli insegnanti che la porta d’ingresso della conoscenza è l’emozione. È l’emozione, infatti, che suscita la curiosità che a sua volte provoca l’apertura automatica delle finestre dell’attenzione, e mette in moto i meccanismi neurali dell’apprendimento e della memoria. Da ciò ne consegue che in aula e in ogni lezione tutti i giorni dovremmo iniziare la nostra ora suscitando la curiosità dello studente, anche con qualcosa che può apparire estraneo dalla lezione stessa. Qualsiasi cosa (un dipinto, un piccolo estratto di musica o di letteratura, un oggetto insolito, un evento accaduto durante la giornata o la voce stessa dell’insegnante) che emozioni e che nel contesto della lezione accenda i motori dell’apprendimento. Ci sono insegnanti delle scuole medie che hanno già messo in pratica queste idee. Ad esempio, hanno osservato che i loro studenti mostrano grande interesse quando, ogni giorno, prima di iniziare la lezione, per alcuni minuti, viene mostrato loro, attraverso delle immagini, cosa farà il loro cervello se seguiranno attentamente quella stessa lezione. Questo è già stato fatto. E sembra funzionare.

Riguardo questa nuova figura che lei ha spiegato così tanto, il neuroeducatore, quali funzioni e quali aiuti può apportare al sistema educativo del XXI secolo?

Il neuroeducatore, in ogni scuola, sarebbe una figura capace, di valutare criticamente le nuove conoscenze che la neuroscienza fornisce in modo così accelerato e mutevole all’insegnamento e trasmetterle a maestri e professori. Ci sono in questo ambito molte false conoscenzemolti neuromiti che devono essere respinti. Il linguaggio neuroscientifico è un linguaggio scientifico e tecnico e come tutti i linguaggi scientifici e tecnici è difficile da assimilare per i non specialisti. Da qui nasce la necessità di un mediatore tra le neuroscienze e l’insegnante che lavora direttamente in aula. Ogni insegnante dovrebbe sapere come funziona il cervello, sede ultima di ciò che si apprende e si memorizza, e conoscere i meccanismi cerebrali che, una volta avviati, migliorano l’apprendimento e la memorizzazione da parte degli studenti. 

Sebbene oggi siamo solo agli inizi, credo sia giunto il momento di prendere seriamente in considerazione il ruolo del cervello nei processi di insegnamento-apprendimento. E in questo il neuroeducatore avrebbe una funzione fondamentale.

Potrebbe indicare e spiegare tre neuromiti diffusi nella cultura popolare?

Ce ne sono molti, più di cinquanta. Mi permetta di dirne solo uno. È quello che afferma, continuando a diffondersi costantemente attraverso i media (nonostante le continue smentite dei neuroscienziati) che ad essere utilizzato è solo il 10% del nostro cervello. Ebbene, questa è una bugia e ci vorrebbe molto tempo per spiegare su cosa si basa ciò che sto dicendo, ma credetemi, il cervello è “uno” nel suo funzionamento e utilizza, per ogni funzione specifica, tutte le risorse di cui dispone. Questo naturalmente non esclude il fatto che ci siano persone in cui tale neuromito si verifichi.

In questa nuova complessità cognitiva/emotiva che le neuroscienze, insieme ad altre discipline, stanno rivelando, ricordo una delle sue affermazioni: “l’emozione è l’energia che muove il mondo”, come si intrecciano le emozioni nel nostro pensiero e nella nostra azione?

L’emozione è centrale per l’elaborazione di tutto ciò che si vede, si tocca o si ascolta.

È connaturata nell’essere vivi nel mondo perché il mondo sensoriale assume senso solo quando il cervello emotivo lo tinge di buono o cattivo. E così le parole, le decisioni, la ragione, la conoscenza e persino i movimenti che facciamo. Tutto è sotto il controllo dei codici che garantiscono la sopravvivenza. E quel controllo è inconscio. E ovviamente questo include ciò che viene appreso e memorizzato. Apprendere è basilare ed imprescindibile per la sopravvivenza come lo è mangiare e bere. E la memoria lo stesso. Tutti sanno, per esperienza personale, che ciò che si ricorda meglio è ciò che ha un forte contenuto emotivo. E oggi sappiamo che le astrazioni, le idee che collegate  compongono il pensiero umano, hanno già un significato emotivo: sì, sicuramente, l’emozione è l’energia che muove il mondo.

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Quali sarebbero le novità che le neuroscienze ci stanno facendo scoprire su questo fenomeno che è così raro e richiesto oggi nella società dell’informazione: l’attenzione?

L’attenzione è centrale nella percezione del mondo e del pensiero. Nulla può essere appreso, consapevolmente, senza il processo di attenzione. Attraverso l’attenzione, si modella il processo neurale consapevole che cattura ciò che viene percepito. È con l’attenzione che apprendiamo, che classifichiamo e che notiamo le differenze tra le cose e gli avvenimenti nel mondo ed è questa la conoscenza. L’attenzione non è un processo unitario, al contrario cervello attiva reti neurali differenti per prestare attenzione a fenomeni diversi. 

C’è un’attenzione di base che è diversa da quella che conosciamo come fissa, indicativa, esecutiva (che è quella dello studio), virtuale o creativa e digitale (Internet). La conoscenza di questi diversi tipi di attenzione, in particolare quella dello studio, potrebbe aiutare notevolmente gli studenti e gli insegnanti a distinguere, ad esempio, i diversi tempi di attenzione che richiedono le diverse materie di studio.

Dalla sua prospettiva neuroscientifica e approfondendo un dibattito così polarizzato, quali vantaggi può avere l’uso del web nello sviluppo di uno studente? Ci sono evidenze, dall’attuale studio, di inconvenienti nel suo uso?

Nello sviluppo di uno studente, l’uso del web può avere molti vantaggi. Stiamo parlando di uno strumento molto utile in grado di fornire informazioni in modo estremamente rapido. Parlo di strumento per ribadire che Internet è questo, uno strumento, e in quanto tale non può sostituire l’insegnamento a scuola, anche se ci sono programmi molto validi e utili che possono raggiungere molti posti isolati del mondo con i loro insegnamenti. L’insegnante “reale”, l’umanità “reale” e non cibernetica di coloro che insegnano, continuano e continueranno ad essere assolutamente insostituibili e fondamentali. Ma è ancora troppo presto per valutare gli inconvenienti di Internet, a parte i casi di dipendenza che si moltiplicano nel mondo. Sembra che Internet stia sviluppando un tipo di attenzione differente dall’attenzione esecutiva, quella richiesta per lo studio, per la quale sta risultando dannosa.

Da un punto di vista filosofico, la modernità cartesiana con il suo dualismo radicale (mente, res cogitans/corpo, res extensa) è superata come paradigma esplicativo. Quali caratteristiche potrebbe configurare questo nuovo stadio dalla sua prospettiva neuroscientifica?

Come lei dice, il dualismo è stato superato e senza dubbio in questo hanno contribuito fortemente le Neuroscienze Cognitive e certamente l’attuale conoscenza dell’evoluzione umana stessa. Tuttavia, è vero che nessuno può negare l’esistenza di un’anima spirituale umana, come nessuno può negare che non esista una teiera, prendendo l’esempio di Bertrand Russell, che gira intorno alla terra, soprattutto se la teiera è invisibile a qualsiasi osservazione umana. Ma la scienza conduce chiaramente alla sterilità di una simile proposta e alla mancanza di necessità di questa domanda per la Scienza. Oggi è chiaro, fuori dall’offuscamento del pensiero magico, che l’essere umano è il prodotto del processo casuale che è l’evoluzione coerentemente con la continuità dell’esistenza biologica di tutto ciò che vive sulla terra. Non esiste alcun intervento soprannaturale nel caso dell’uomo, questo oggi è chiaro anche per i teologi più avanzati.

Siamo già in una “cultura neuro”? Quali altre implicazioni immediate ha e avrà nel prossimo futuro?

Mi permetta di rispondere a questa domanda con una risposta poco accademica e più colloquiale.

Il “neuro” è stato tolto dal suo “vaso”.

Tutto è iniziato con la “neuro-filosofia” di Churchland. Era innovativa e in essa il termine “neuro” aveva un chiaro significato. Ciò che voleva esprimere fondamentalmente era lanciare uno “sguardo nuovo” per comprendere meglio il problema cervello-mente, o se si vuole corpo-spirito, dal punto di vista neuroscientifico e fare “nuova” quella visione. Vale a dire, segnalare che la filosofia, almeno in questo problema, diventerebbe molto presto sterile se, sin da subito, non prendesse in considerazione le conoscenze che esistono su ciò che è il cervello e come funziona. Avrebbe potuto essere più generico e mettere al libro il titolo “Cervello e filosofia”, ma non lo fece. 

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E il termine “neuro”, come fosse un meme, ebbe fortuna. Da allora, con la forza di quel lancio originale, nacquero con le stesse basi la Neuroetica, la Neuroeconomia, la Neuroestetica, la Neurocultura, la Neuroarchitettura, la Neuroeducazione, e tutte con quel senso di avviare uno “sguardo nuovo”, un prima e un dopo, alla riflessione sull’uomo e il suo mondo. Ma come in ogni cosa, l’onda è arrivata e moltissimi l’hanno cavalcata. Ora, senza alcun fondamento, viene messo “neuro” a quasi tutto, volendo così richiamare l’attenzione sul “nuovo e dirompente”, falsando così le fondamenta del significato originale di “neuro”.

Come riassumerebbe le lezioni che le neuroscienze possono darci su cosa significa imparare nella nostra società dell’informazione del XXI secolo?

Significa ancorare permanentemente i processi di apprendimento e insegnamento a basi solide e sicure, lontane dalle opinioni, dalle ideologie o dalla nascita di metodi individuali. Questo avrà uno sviluppo e una portata non ancora prevedibili. Ci rendiamo conto ora che l’apprendimento e la memorizzazione non sono semplicemente la conservazione di qualcosa di utile, ma cambiano il cablaggio del cervello degli individui nella componente fisica e in quella chimica e quindi intessono il loro futuro e che ogni tappa dello sviluppo umano avrà bisogno di diversi processi di apprendimento secondo i codici del cervello messi in moto in ogni fase della vita umana. E in tutto ciò conteranno le pareti dell’aula nella quale apprenderemo, i suoi colori, la sua temperatura, la sua luce, l’orientamento delle cose e i suoni; conteranno gli spazi, siano essi a piano terra, aperti o ancorati a un chilometro d’altezza sopra le nuvole. Ci sarà, in altre parole, un profondo cambiamento nell’educazione. Qualcosa, tuttavia, prevedo che non cambierà. Per quanti media elettronici e digitali invaderanno le nostre vite, anche supponendo che vivremo con robot e computer che saranno in grado di creare, insieme a immagini e suoni, un mondo artificiale di “emozioni umane”, “odori” e “tocchi” e che ci riconosceranno quando torneremo a casa dal lavoro e parleremo con loro e ci aiuteranno enormemente ad imparare e memorizzare bene, continueremo ad aver bisogno dell’interazione “calda” dell’insegnante con gli studenti e degli studenti tra loro. Questo è imprescindibilmente “umano” e questo non cambierà…! Non smetterà di essere umano!

http://www.casaserenamontichiari.it/project/tutor-sostegno-scolastico/

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