1. Il diritto all’ozio, a vivere momenti di tempo non programmato dagli adulti
“Siamo in un momento della storia umana in cui tutto è programmato, curriculato, informatizzato. I bambini hanno praticamente la settimana programmata dalle loro famiglie o dalla scuola. Non c’è spazio per l’imprevisto. Non c’è, da parte dei bambini e delle bambine, la possibilità di qualcosa di autogestito, di giocare da soli.
C’è bisogno di un tempo in cui i bambini siano soli, in cui imparino a “vivere il sistema delle regole”, imparando da soli a gestire i piccoli conflitti. E questo senza la presenza eccessiva degli adulti. È solo così che si diventa adulti sani.” (G. Zavalloni, 2003)
Spesso il tempo dei bambini è completamente legato ai programmi organizzati dagli adulti: la scuola, i compiti, lo sport, il corso di musica…I bambini passano, come indica acutamente Paola Tonelli, da una “scatola” all’altra: la classe a scuola, la cameretta a casa, la palestra dove fare sport. Il risultato è che i bambini vivono un tempo saturato: totalmente programmato, pieno zeppo di attività e, per giunta, di attività solitamente dirette unicamente dagli adulti.
Il tempo totalmente programmato dall’adulto è un tempo che annulla la libera iniziativa del bambino, il quale rimane un mero esecutore di scelte fatte da altri e calate dall’alto; è anche un tempo che si chiude all’imprevisto, a quella meravigliosa vitalità del mondo intorno a noi che nutre la cosiddetta “educazione incidentale”, cioè l’apprendimento che nasce senza pianificazione dall’esperienza, dall’incontro con nuove situazioni. L’UNESCO chiama l’apprendimento incidentale anche “apprendimento casuale” e lo descrive come “apprendimento non intenzionale, che succede in qualsiasi momento del giorno e in qualsiasi luogo”.
Il tempo inzeppato di attività non lascia spazio alla possibilità per il bambino di dedicarsi a quella che dovrebbe essere la sua occupazione primaria: il gioco libero e spontaneo. Il gioco, meraviglioso, potente, che è la cosa più seria, più impegnativa e più coinvolgente che un bambino possa fare. Il tempo inzeppato non lascia spazio al vuoto, necessario come lo è il silenzio per la musica, il vuoto che permette di rielaborare, di riposare, di svuotarsi per poi di nuovo attivarsi, riempire, scoprire, lasciando che il ritmo delle giornate si svolga in una melodia equilibrata tra pieni e vuoti. E poi il tempo inzeppato elimina la lentezza e con essa la possibilità di scoprire il proprio ritmo e anche la possibilità di darsi il tempo di gustare e assaporare le esperienze, gli altri e se stessi, senza dover correre da un’attività all’altra. Il tempo inzeppato uccide anche la possibilità di annoiarsi e scoprire la noia come pagina bianca da scrivere, come tempo arioso nel quale si può rielaborare, scegliere, riflettere, creare.
Il tempo pieno di attività dirette solo dagli adulti è un tempo che schiaccia l’autonomia e la capacità di autogestione dei bambini, nel quale spesso gli adulti tendono a sostituirsi al fare e al pensare e al creare dei bambini. Un tempo adultocentrico che mette a tacere quasi del tutto il punto di vista dei bambini e la loro voce.
Il diritto all’ozio, dunque, significa restituire il tempo ai bambini e restituire loro lo spazio: lo spazio dell’autogestione, lo spazio nel quale gli adulti si mettono a lato e rimangono come riferimenti di “base sicura” ma non intervengono, lo spazio nel quale può emergere il punto di vista delle bambine e dei bambini e il loro modo di sentire e fare.
Come genitori, insegnanti, educatori, società, possiamo lavorare perché i bambini diventino protagonisti del loro tempo e del loro spazio, perché abbiano il tempo per sentire, osservare, pensare, scegliere, dialogare, creare…ma per fare questo dobbiamo innanzitutto fare un passo indietro noi adulti. Per ogni età questo passo indietro significa una cosa diversa: per un bambino piccolo che inizia ad esplorare significa non rimuovere ogni ostacolo, permettergli di sbagliare e riprovare senza dare subito la soluzione, significa esplorare un luogo o un gioco senza dare direttive. Significa lasciarlo provare e riprovare a versare l’acqua nel bicchiere anche se allaga il tavolo, significa non intervenire per aprire la scatola incastrata se il bambino non lo richiede, significa aspettare un attimo che si rialzi da solo quando cade. Per i bambini più grandi significa, per esempio, non intervenire subito quando scoppia un conflitto, come insegna Daniele Novara, dare piuttosto gli strumenti per “litigare bene” senza intervenire in modo giudicante o per sanare lo scontro dall’esterno. Significa anche fidarsi delle competenze dei bambini: gli adulti sono molto meno competenti dei bambini nel gioco spontaneo, e dovrebbero lasciare fare a chi è più competente di loro e fermarsi solo ad osservare; i bambini sono fisiologicamente predisposti a giocare, gli adulti possono essere spettatori o, al massimo, compagni di gioco se vengono invitati a partecipare, ma sempre con lo sguardo rivolto a chi è più esperto di loro a vivere e imparare giocando.
E a scuola? È possibile strutturare tempi e spazi scolastici che non siano totalmente direttivi? Quali spazi di autonomia, autogestione e scelta possiamo dare ai bambini? Come si può progettare tenendo conto del diritto all’ozio? Anche nella scuola è possibile: come ci insegna Zavalloni, una scuola lenta, che lasci spazi di respiro ampi, che non insegua i programmi, che eviti l’ingozzamento, come ci ricorda Daniela Lucangeli; una scuola che sappia anche rinunciare ai compiti a casa quando diventano l’ennesimo tempo regolato dalle aspettative degli adulti in cui il bambino continua ad eseguire direttive; una scuola nella quale gli adulti facilitano l’apprendimento ma non lo dirigono in modo adultocentrico; una scuola che i bambini possano sentire a loro misura e non unicamente a misura degli adulti.
Allora è bene che noi, nel nostro ruolo di educatori, genitori, insegnanti, nonni, ci poniamo spesso queste domande: i bambini hanno l’opportunità di stare del tempo da soli tra di loro? Cosa significa ”gioco libero”? Quanto programmiamo la settimana dei nostri bambini? Durante questa settimana i nostri bambini quante attività dirette dagli adulti hanno svolto? Come posso essere un facilitatore dell’apprendimento e della crescita non direttivo? Quale significato evolutivo ha la noia per i bambini? È possibile nella nostra società dare ai bambini la lentezza del “tempo vuoto”? Oggi ho osservato oppure solo diretto i miei bambini? Era necessario il mio intervento?
Ci lasciamo con queste domande da portare con noi, speriamo siano uno stimolo quotidiano utile per nutrire uno sguardo attento e sensibile nei confronti delle bambine e ai bambini e per diventare più rispettosi del loro diritto all’ozio.
bibliografia di approfondimento:
Colin Ward, L’educazione incidentale, Elèuthera, 2018
Gianfranco Zavalloni, La pedagogia della lumaca. Per una scuola lenta e nonviolenta, EMI, 2012
Daniele Novara, Litigare fa bene, BUR, 2015
AAVV, Disegnare la vita, i mondi di Gianfranco Zavalloni, Fulmino Edizioni, 2013